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Sax and the city

testo di Jovanotti, foto di Adriana Lopez Sanfeliu

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24 novembre 2009

Mentre la notte italiana langue, in bilico tra divieti ed eccessi, a New York ha ritrovato l'energia degli anni Settanta. La scorsa estate Lorenzo «Jovanotti» Cherubini è stato in tour nella Grande Mela dove ha suonato in club underground. Verificando che la passione per la musica e la cultura e il passaparola potrebbero essere una chiave per riaccendere anche la notte italiana. Paolo Bocchi ci conduce in questo viaggio tra le ore piccole.

Uno scorcio del club Zebulon (258 Wyhe Avenue, Williamsburg, Brooklyn) foto di Adriana Lopez Sanfeliu
Quest'estate a New York ho vissuto una sensazione che non provavo da anni. Ho sentito che lì ci sono di nuovo i presupposti perché la notte torni ad essere un vero laboratorio. Per me la notte ha senso come laboratorio o per dormire. Tutto il resto, le ore notturne intese come spazio di conformismo, non mi interessano, o mi interessano molto meno.

Ho iniziato a lavorare di notte perché c'era un pubblico non mainstream, fatto di "piccole onde". Ed era la cosa che amavo di più. A un certo punto la notte è diventata altro, con le notti bianche, i negozi aperti e la possibilità di vedersi un film alle due. A me, però, la notte come spazio di consumo non interessa. A me piace la notte come spazio di "non rinuncia", di laboratorio quasi chimico, di miscele inaspettate, di prove.

Quest'estate suonando in piccoli club a New York, ho fatto una cosa che in Italia non mi sarebbe stata possibile, perché qui non posso stare nascosto. Sarei stato come un rullino esposto alla luce. E invece avevo bisogno di buio, di essere visto da pochi, solo in questo modo potevo permettermi di "sbagliare". Così sono riuscito a tornare al nocciolo del mio me-stiere. Con più esperienza e quindi con più divertimento. È stata un'estate che mi ha riconciliato con la notte come luogo caldo, buio, umido. Alla fine la vita si riproduce proprio al caldo e all'umido: i piccoli club come il Nublu, caldi e umidi, erano perfetti per "originare" nuova vita musicale.
La nuova scena notturna newyorkese penso sia una delle belle conseguenze di due cose importanti successe ultimamente. Una è la crisi. Una crisi che a New York si sente molto e che porta la gente a cercare situazioni piccole, in cui conta la passione. L'altra è internet, i social network, che permettono anche a me, artista italiano, di essere conosciuto e ascoltato a New York.

New York è una città di believers, cioè di persone che "fanno le cose" perché "ci credono". La storia del proprietario del Nublu è esemplare. Un turco emigrato in Svezia, poi trasferi-tosi a New York dove apre il "suo" locale, che è per lui il "suo" strumento con il quale parlare, suonare e fare la differenza: perché oggi si fa la differenza con duecento persone. Questa è un'altra grande novità della nostra epoca che si rispecchia anche nella notte. Oggi un blogger può essere più importante del New York Times, oggi si può essere rilevanti anche par-tendo da un angolo.
La notte a New York è sicura, più sicura di quella milanese. Si è però completamente persa anche quell'insicurezza che generava creatività. Non a caso oggi New York più che produrre cultura è una città che la consuma. Perché gli artisti che producono cultura non possono permettersi di pagare gli affitti di Manhattan.

Durante il tour abitavo dalle parti di Washington Square. La nostra sala prove era invece a Brooklyn. Era interessante per me, che ho l'orecchio abituato, cogliere la differenza fra Manhattan e Brooklyn. A Williamsburg cala il rumore. Esci dalla stazione e c'è silenzio. Perché Brooklyn è un quartiere, mentre Manhattan è un grande shopping mall. A Brooklyn noi suonavamo allo Zebulon, un locale gestito da due ragazzi francesi, anche questo piccolo, per 150 persone circa. E ogni volta era una festa.
(testimonianza raccolta da Paolo Bocchi)

24 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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